NOTTE

La stanza che mi avvolge ha le pareti bianche, è stretta, il pavimento di cotto, una porta che dà sul corridoio e una finestra. Sui muri non c’è molto: un calendario e un orologio. Di fronte a me, la macchina da scrivere. Ai miei occhi, la sua tastiera è come quella di un pianoforte per un pianista. Una volta che inizio a suonare è difficile smettere, anche nelle serate di burrasca come questa. Nota dopo nota, parola dopo parola, vado avanti nelle mie composizioni. 
Sulla parete di fronte a me, ho appeso un foglio con dei suggerimenti. Pescare sempre dai ricordi, come se fossero dei pesci che nuotano in mare. Avere un’idea forte, come se fosse un vulcano pronto ad esplodere. 
La stanza in cui mi trovo è avvolta da altre stanze in una struttura che può definirsi una casa, circondata da due forze della natura: il mare, che si è mangiato le barche, invadendo il piccolo porto, e il vulcano, che scende a valle con le sue lingue di fuoco che illuminano la notte. 
La pioggia cade a dirotto. Sento i boati della terra, il rumore ritmico delle gocce d’acqua, il vento che sbatte sulle finestre. Percepisco la paura delle persone dell’isola, indecisi se temere di più il vulcano in eruzione o il mare in tempesta. Il pericolo arriva dall’alto o dal basso?Li temono entrambi. Li conoscono bene, ma non riescono a abituarsi alla sensazione di essere stretti nella morsa di una natura troppo potente. Un altro boato annuncia la fuoriuscita di una nuova lingua di lava. 
È una linguaccia che si prende gioco degli esseri umani, troppo piccoli per capire il vulcano e tutta la forza che contiene nella sua pancia profonda. Nel frattempo, io navigo a vista nel mare della mia composizione, ma questa sera la natura mi sovrasta, il frastuono mi distrae, acqua e fuoco combattono dalla notte dei tempi e io sono obbligato a fermarmi. Diamine!

GIORNO

Un’altra notte è passata. Mi sono addormentato sulla macchina da scrivere. Ho pigiato i tasti con il gomito e quello che ora trovo scritto sul foglio sono lettere in libertà: lamsjkfoes,dlaekfàOapqoekdnakljdalaajsdkladalsssssssssss ssssssssssjdiqwpodjalsdjaSDJSAKaksllapeirpkcsdnlkdsdslsddkfjsdkldjdfkf.
Non piove più. I ruggiti del vulcano si sono placati e il rumore del mare sembra tornato quello normale, acquietato nel suo movimento costante. Sento i rintocchi della campana, provenienti dalla chiesa, allora mi spingo verso la finestra e vengo illuminato da una luce tenue. 
L’aria è mite e si alzano dalla terra gli odori delle bacche selvatiche, del mirto e del legno umido. Nell’arco di poche ore, l’isola ha cambiato volto. Adesso è abbracciata dal mare e dominata da un ciclope calmo e soddisfatto.  
I paesani si dirigono verso il porto, e anch’io esco dalla mia stanza, fuori di casa, e mi siedo sul muretto di pietre che delimita l’orto. Il vento ha fatto cadere a terra gli ultimi fichi della stagione. Le zucche sono invece ancorate alla terra e anche i pomodori hanno resistito bene. 
La paura sottovuoto della sera precedente si è aperta in un’esplosione di sensi. Il vento leggero mi accarezza la pelle. L’odore dei fichi schiacciati a terra è dolce. Il rumore delle campane e dei passi della gente mi suona confortante, così come la vista del mare e delle altre isole, il passaggio lento delle nuvole, la discesa delle persone verso le barche.
Abbracciato da quest’opera, ridotto al semplice esercizio di recepire quello che il mattino mi sta concedendo, mi convinco in fondo che le campane, il porto, il mare e l’isola, nella sua interezza, mi bastano. 
Distese le gambe e incrociate le braccia, non provo altro desiderio se non quello di dimenticare tutto.